Tecnica mista con calabroni in plastica dipinti a mano. Misure variabili. 2019
L’opera nasce dall’ esperienza personale dell’artista che, negli ultimi anni ha vissuto e analizzato le modificazioni del territorio milanese nel periodo pre e post Expò 2015.
Nel corso del tempo il paesaggio intorno all’ area dell’Esposizione Universale è notevolmente mutato, così come sono cambiati i suoi abitanti e le abitudini di essi.
Questo evento ha migliorato la comunicazione sul territorio, agevolando gli spostamenti, intensificando i mezzi di trasporto e potenziando le infrastrutture. Tuttavia ha dato il via ad una serie di opere urbanistiche, talvolta rimaste incompiute, che hanno fatto sì che ovunque si posi la vista appaiano reti e palizzate, trasformando la città e la periferia in una specie di cantiere/alveare dal quale difficilmente si può scorgere l’orizzonte.
Questo atteggiamento si riflette negli animi delle persone che vivono la metropoli. Delimitare è diventata la nuova priorità, e così la rete, la parola tanto osannata nel XXI secolo capace di collegare tutto il globo via etere, nella vita reale ci separa e crea distanze. Senza accorgerci stiamo diventando scopritori del mondo ma incapaci di goderci la vita quotidiana.
In questo scenario ansiogeno i calabroni dell’opera, stampati con la moderna tecnologia 3D ed interamente dipinti a mano, si inseriscono come una sorta di strumento per provocare disturbo e malessere alla vista. L’artista vuole comunicare lo stato d’ansia generato dalla continua limitazione dello spazio vitale in luoghi sempre più piccoli e chiassosi in perpetua evoluzione, un po’ come i nidi di calabrone che mantengono sempre l’aspetto di un cantiere aperto.